Non
capita spesso che una sola data offra l’occasione di fermarsi e riflettere un
po’ su due diversi eventi storici ugualmente tragici ed è per questo che oggi
mi sono trovato in leggera difficoltà quando accingendomi a scrivere sul blog
dovevo scegliere se rendere omaggio al rivoluzionario argentino Ernesto Che
Guevara, ucciso quarantun anni fa in Bolivia mentre combatteva per “gli
sfruttati e i sottosviluppati del mondo”, o se ricordare il disastro del Vajont,
emblema dell’avidità umana, che nel ‘63 provocò 1917 vittime.
E’
per questo che alla fine ho deciso di parlare brevemente di entrambi.

Il
9 ottobre 1967 venne giustiziato, e consegnato alla leggenda, Ernesto Che
Guevara, uno dei personaggi più discussi dell’ultimo secolo ma anche uno dei più
popolari sia in ambienti di sinistra che di destra. Con la sua morte, infatti,
divenne il simbolo delle lotte giovanili degli anni successivi e, ahimè, anche
oggetto di numerose operazioni di mercato volte a lucrare sulla sua immagine.
Penso
che qualunque sia l’idea politica di ognuno non si possa non apprezzare la
coerenza che lo ha portato a lottare per quella larga parte della popolazione
mondiale che vive oppressa ed esclusa. Egli partecipò infatti alla rivoluzione
di Cuba senza secondi fini, rifiutando ogni tipo di onorificenza politica o
economica, e dopo la vittoria ed una breve esperienza politica (quel tanto che
bastava per capire che non era la sua vocazione) ripartì per “esportare la
rivoluzione” nel Congo e poi di nuovo in Sud America.
Questo
suo disinteresse per i beni materiali a favore del diritto di tutti a condurre
una vita dignitosa non è forse il messaggio che la Chiesa cattolica ha sempre
voluto infondere?
Che
Guevara è stato un esempio vivente (non l’unico) dell’esistenza di un’etica laica,
a differenza di quello che hanno sempre pensato i fondamentalisti cattolici,
che l’etica sia solo una prerogativa della religione.
E’
per questo che mi sono divertito a “giocare” sulla somiglianza tra l’immagine del
Che disteso sul letto di morte e il celebre quadro del Mantegna, il “Cristo
morto”.

Quello
del Vajont è riconosciuto come “il peggior disastro ambientale mai accaduto nel
mondo provocato dall’uomo”.
Il
9 ottobre del 1963, alle 22:39, una frana staccatasi dal Monte Toc (in friulano “Monte Marcio”), nel Bellunese, precipitò
nel bacino artificiale creato dalla diga del Vajont provocando un’onda che
scavalcò la diga e travolse i paesi sottostanti.
Raccontato
così potrebbe sembrare un normale incidente naturale, come può essere un
uragano o un terremoto, qualcosa di inevitabile, ma la gravità della vicenda
sta nel fatto che durante tutto il periodo precedente la costruzione della diga
si erano già avute esperienze che mettessero in evidenza la “cattiva” geologia
del territorio e la non agibilità dello stesso a quello scopo e quindi il
disastro poteva e doveva essere evitato.
I
cittadini locali avevano a lungo protestato contro la diga e denunciato errori
nel progetto ma le loro richieste non furono mai ascoltate. La SADE (Società Adriatica di Elettricità),
infatti, aveva fretta di completare l’opera per poi venderla all’ENEL, visto che nel ’62 venne
nazionalizzato il settore elettrico.
Tutto
ciò fa tornare in mente quanto sta accadendo in Italia negli ultimi anni a
proposito delle “grandi opere” come la TAV
Torino-Lione o il ponte sullo stretto di Messina. I comitati locali denunciano
inadeguatezze nei progetti eppure nessuno si degna di ascoltarli. Chiediamo più
rispetto per l’ambiente ma i vari governi continuano ad andare avanti
inseguendo non si sa quali vantaggi economici. Anche nel caso del Vajont
l’obiettivo finale era la costruzione di una centrale idroelettrica che potesse
portare vantaggi alla popolazione ma abbiamo visto quali sarebbero stati questi
“vantaggi”.
Manthix
OGGI CONSIGLIAMO: Beppe Severgnini