
Abbiamo
avuto notizia in questi giorni della morte di Hassan Nejl, cittadino marocchino
di 36 anni, in un Centro di Permanenza Temporanea di Torino probabilmente a
causa di una forma di polmonite fulminante e, si accusa, per la mancanza di un
soccorso tempestivo. Non entrerò nel merito visto che sarà la magistratura a
chiarire le eventuali responsabilità (fidiamoci) ma l’accaduto mi ha fatto
riflettere sulle condizioni di vita di coloro che sono trattenuti in questi
centri, spesso denunciate da molte associazioni per la difesa dei diritti umani
ma altrettanto spesso ignorate dal mondo politico.
Innanzitutto
dobbiamo capire cosa sono questi CPT, costruiti per trattenere gli stranieri in
attesa di espulsione ma finiti per essere usati a mo’ di vere e proprie
carceri. Un’espulsione, bisogna sapere, non è una pratica facile da compiere. I
clandestini spesso non vengono accettati nemmeno dai loro Paesi di provenienza
in quanto, non avendo documenti, non possono dimostrare la propria cittadinanza
e così sono stati inventati i CPT, per trattenere i clandestini mentre le
autorità italiane e straniere trattano il rimpatrio. Per risparmiare tempo e
risorse finanziarie, però, si utilizzarono edifici in condizioni di degrado,
ristrutturati in modo sbrigativo e in estrema economia. Inoltre la gestione venne
affidata tramite gare di appalto poco trasparenti e da ciò si evince la natura
affaristica di questi centri.
I
problemi che ne derivarono sono quelli che osserviamo oggi. La stessa Corte dei Conti ha riconosciuto che il
trattamento dei detenuti è per taluni aspetti peggiore di quello dei detenuti
delle strutture carcerarie. Ma una conferma clamorosa delle condizioni inumane
in cui sono trattenuti gli stranieri ce l’ha data l’inviato del Corriere della Sera Fabrizio Gatti che,
facendosi passare per clandestino rumeno, ha potuto raccontare di un poliziotto
che ha obbligato un immigrato a firmare la rinuncia all’avvocato difensore,
oltre che di maltrattamenti, percosse e del degrado fisico delle strutture. Altre
inchieste hanno dimostrato, poi, che gli internati non vengono neanche
informati dei loro diritti e non viene concessa loro la possibilità di
incontrare il proprio avvocato. Nel 2005 Amnesty
International ha presentato alla stampa un dettagliato rapporto contenente
denunce di persone detenute nei CPT e sottoposte ad aggressioni fisiche da
parte del personale di sorveglianza ed alla somministrazione massiccia di
sedativi e tranquillanti. Inoltre Amnesty
ha rivelato che la tensione nei centri è alta, si verificano frequenti
proteste, tentativi di fuga e di autolesionismo. I centri sono spesso
sovraffollati, con strutture inadeguate, condizioni di vita contrarie alle
norme igieniche e cure mediche non soddisfacenti. Si pensi che il Centro di
Lampedusa, con una capienza di 190 individui, nel 2005 è arrivato ad ospitarne
quasi 600. Questo perché ormai questi centri non vengono utilizzati solo per
trattenere gli immigrati irregolari in attesa di espulsione ma anche i
richiedenti asilo politico (che secondo la legge dovrebbero stare in strutture
specifiche) e gli stranieri che sbarcano sulle coste italiane (che dovrebbero essere
sistemati in centri di accoglienza).
Prendendo
atto delle difficoltà logistiche di gestione delle espulsioni non credo che
questi centri vadano chiusi come alcuni (gli stessi che li hanno voluti aprire)
vorrebbero, anche perché non esiste ad oggi un’alternativa, ma se veramente ci
riteniamo un Paese civile allora i problemi che sono stati esposti devono
essere risolti al più presto.